Dopo circa 20 anni di negoziati è stato raggiunto, da una significativa maggioranza di Paesi membri dell'ONU, un accordo per proteggere gli oceani e la biodiversità in essi ospitata, minacciati dai cambiamenti climatici, dalla pesca eccessiva, la possibilità di estrazione mineraria dai fondali marini, dall’inquinamento.
Nel recente ciclo di incontri organizzati da Planet Life e Unimi (link all'articolo) ce lo aveva anticipato Antonio Di Natale, Segretario Generale della Fondazione Acquario di Genova e membro della Divisione Ocean Affairs and the Law of the Sea dell'ONU, spiegando l'importanza e insieme la difficoltà di raggiungere un simile traguardo.
Il testo, concordato dai delegati della Conferenza intergovernativa sulla biodiversità marina delle aree al di fuori della giurisdizione nazionale, meglio nota con l’acronimo BBNJ, è il culmine dei colloqui facilitati dalle Nazioni Unite iniziati nel 2004.
Il trattato, definito storico, prevede di creare aree marine protette e di adottare misure di conservazione nell’ “alto mare”, l’area di acque internazionali al di là della Zona Economica Esclusiva degli stati rivieraschi, 200 miglia nautiche (370 km) dalla costa. Questa immensa distesa di oceani – un tesoro fragile e vitale, che copre quasi la metà del pianeta. – è il più grande habitat sulla Terra. Ospita milioni di specie, molte delle quali – secondo stime tra il 10% e il 15% – sarebbero a rischio estinzione. Questa area, al di fuori delle giurisdizioni nazionali, in cui tutti gli Stati hanno il diritto di pescare, navigare e fare ricerca è stata definita un vero e proprio Far West.
Già denominato “Trattato sull’alto mare“, il quadro giuridico oltre a collocare il 30% degli oceani del mondo in aree protette, destinerebbe più denaro alla conservazione marina e coprirebbe l’accesso e l’uso delle risorse genetiche marine.
Il testo, uscito dalla sessione negoziale, ancora non disponibile, passerà ora alla revisione tecnica e alla traduzione nelle sei lingue ufficiali delle Nazioni Unite, prima di essere adottato ufficialmente in un’altra sessione. A questo punto per entrare in vigore dovrà essere ratificato dagli Stati membri dell’Onu, un iter non certo di breve durata (per il Protocollo di Kyoto ci sono voluti 8 anni). Una volta che il trattato entrerà in vigore, le nazioni potranno iniziare a proporre l’istituzione di nuove aree di protezione marina. Anche allora, l’applicazione rimarrà una sfida.
Il trattato è anche uno strumento chiave per raggiungere l’obiettivo dell’accordo dello scorso dicembre preso a Montreal nel corso della COP 15 per arrivare ad almeno il 30% di protezione degli oceani del mondo entro il 2030, il livello minimo di protezione necessario, avvertono gli scienziati, per garantire la conservazione degli oceani in buono stato di salute. Il nuovo accordo è il primo del suo genere a proteggere gli oceani dal 1982, quando è stata adottata la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che stabilisce un unico insieme di regole che governano gli oceani del mondo e le loro risorse.
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Fonte: Oceani, raggiunto accordo Onu per proteggere “l’alto mare” (fondazionesvilupposostenibile.org)
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