Cinque settori chiave dell’industria italiana — acciaio, chimica, cemento, carta e ceramica — si trovano oggi a un bivio cruciale: da un lato, la necessità di abbattere drasticamente le emissioni di CO₂ per rispettare gli obiettivi ambientali dell’UE, dall’altro, l’urgenza di non perdere competitività rispetto a Paesi extra-UE, dove i costi energetici e le normative ambientali sono meno gravosi.
È questa la fotografia che emerge dallo studio “Industria e decarbonizzazione: quale competitività tra scenari futuri ed evoluzione tecnologica”, condotto da Edison e Boston Consulting Group.
Se da qui al 2030 non verranno adottate strategie efficaci e investimenti mirati, l’Italia rischia di rimanere indietro. Le previsioni indicano che, pur con una riduzione del divario rispetto ad altri Paesi europei, i prezzi dell’elettricità in Italia saranno ancora superiori del 10% rispetto alla media UE e fino al 30% rispetto agli Stati Uniti. Ancora più marcato è il gap per il gas naturale, il cui costo sarà del 120% più elevato rispetto agli Usa. A ciò si aggiunge il previsto aumento dell’80-85% del prezzo della CO₂ entro il 2030, aggravando i costi per le imprese energivore.
Lo studio identifica sette leve fondamentali per ridurre del 30% le emissioni dei settori “hard to abate” entro il 2030 rispetto ai livelli del 2022. Tra queste: efficienza energetica, biometano, elettrificazione dei processi, economia circolare, CCUS (cattura, uso e stoccaggio della CO₂), sviluppo dell’idrogeno e del nucleare. Ma solo le prime cinque possono giocare un ruolo importante già nel breve-medio termine: le ipotesi idrogeno e nucleare – secondo lo studio – richiedono tempi più lunghi (lo scenario è al 2040).
Le criticità specifiche dei cinque settori analizzati evidenziano l’urgenza di intervenire.
L’acciaio, per esempio, è relativamente efficiente rispetto all’Europa, ma paga un divario di competitività del 35% con i Paesi extra-UE, riducibile al 15% grazie all’introduzione del meccanismo CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism). Il costo dei rottami metallici, che incide per il 70% sul costo totale, è il principale ostacolo. Nel settore chimico, il gap con la Cina — dove l’energia costa il 45% in meno e non esistono tasse sulla CO₂ — potrebbe portare a una perdita di competitività di oltre il 20% al 2030. Per il cemento, il costo della CO₂ rappresenta il 75% del divario competitivo rispetto ai Paesi extra-UE. Qui la CCUS risulta determinante, insieme al CBAM che potrebbe riequilibrare la concorrenza. Il comparto cartario è fortemente dipendente dal gas, che rappresenta circa il 20% del costo della produzione, contro il 10% degli USA. La disponibilità di biometano sarà essenziale per contenere i costi. Per la ceramica, infine, il problema è l’energia: oltre il 60% del divario competitivo è legato al costo del gas. L’elettrificazione e l’adozione di biometano rappresentano le soluzioni chiave.
Lo scenario resta complesso, ma non senza soluzioni. Serve una forte volontà politica per snellire le procedure autorizzative, incentivare gli investimenti e garantire prezzi energetici più competitivi, ad esempio tramite il rinnovo del meccanismo Energy Release. Solo così l’industria italiana potrà cogliere la transizione ecologica non come un ostacolo, ma come un’opportunità strategica.
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